Oggi vorrei parlare del film Her, di Spike Jonze. Ovviamente non posso farne una critica seria legata al suo valore artistico cinematografico, ma proverò a raccontare di quante cose mi ha parlato quel film, cosa mi ha raccontato, che domande mi ha fatto porre e che sensazioni ho provato nel vederlo. Perchè sono davvero così tante queste domande, così variegate e interessanti, che ho proprio bisogno di metterle in chiaro. Non vorrei neanche fare troppi spoiler così da permettere a chiunque di guardarlo, ma non tanto per scoprire dove va a finire la storia, se vi piace o no il finale, ma per farvi inciampare anche a voi in questo grande baule di domande e dubbi, per aprirvi tante interessanti porte, come lo ha fatto con me.

(Però ripensandoci, dirò comunque molte cose sulla trama del film quindi se non lo avete visto e non volete scoprire troppi dettagli forse, prima, dovreste vedere il film).

Posso sicuramente ammettere che per me è un bel film, e lo posso dire perchè mi ha fatto sorridere, mi ha stimolato gioia, tenerezza, dolcezza, tristezza, fastidio, mi ha fatto quasi piangere, raccontando una storia d’amore mai banale.
È così facile empatizzare per tutti i personaggi che lo abitano che ogni momento puoi sentire sentimenti opposti emergere: senti il dolore della separazione di una coppia e di un amore finito, ma non riesci ad arrabbiarti con l’altro o a prendere le parti di una sola voce. Senti il dolore di entrambi, le rotture che avvengono nelle dinamiche relazionali, l’amarezza, la frustrazione, il voler recare dolore all’altro, il senso di colpa, la fatica, la fine della relazione anche se ci si vuole ancora bene e probabilmente ce ne vorremo per sempre e, infine, il dover arrendersi… e lasciar andare.

Ma non parla solo di quello. I temi che apre riguardo allo sviluppo delle intelligenze artificiali, IA, e l’enorme incombenza e importanza che cellulari e pc hanno ormai inesorabilmente nella nostra vita sono chiaramente in primo piano, protagoniste come Theodore dello scena. Ovviamente alcune delle prime domande che vengono spontanee quando inizi a vedere il film sono: ma sarà possibile in futuro innamorarsi di un’intelligenza artificiale? Le IA saranno così evolute, in grado di apprendere e di modificarsi da essere considerate come un essere umano? Che cosa rende l’uomo un uomo, cosa rende noi degli esseri umani, la capacità di sentire, quella di pensare, il nostro corpo, il fatto che possiamo evolvere e cambiare? Ma questo lo possono fare anche le IA o c’è una differenza? E la tecnologia è già così ampliamente inserita nella nostra vita, così imprescindibile e invadente da arrivare a poter rendere obsolete anche le relazioni umane veicolate da corpi umani?

Non sono in grado di rispondere a tutti questi quesiti, e neanche riesco adesso ad approfondirne più di uno, ma questa ultima domanda è quella che mi sta più arrovellando la mente, perchè riesco a sentirne la potenzialità e nello stesso tempo il grande e terribile pericolo. Per forza di cose, dato che faccio la psicoterapeuta, ho osservato il film anche con l’occhio della gestalt che segue la teoria per la quale le emozioni sono espressione di ciò che sentiamo prima nel corpo e poi in tutto il resto della nostra persona, prima attivate da sensazioni corporali e poi valutate e registrate nel nostro cervello attraverso i nostri impulsi, le nostre intenzioni, le nostre esperienze e ciò che valutiamo e pensiamo della situazione in cui siamo. Non è per forza così lineare il meccanismo, e unidirezionale, corpo –> emozioni, le emozioni possono essere evocate anche da pensieri e ricordi, ma comunque hanno di sicuro il loro fondarsi nel corpo, fatto di carne, ossa, pelle. Cioè noi siamo il nostro corpo, non possiamo prescindere da questo, noi non abbiamo un corpo ma lo incarniamo, NOI SIAMO IL NOSTRO CORPO. E questo ragionamento mi fa giungere al fatto che le emozioni si sentono nel corpo. Quello che voglio dire è che le emozioni a mio parere devono per forza essere supportate da un corpo, senziente, percettivo, sensibile, capace di toccare, gustare, annusare, anche immaginare emozioni mai sentite, sì è possibile, ma comunque sogni e immaginazioni che si ergono dai nostri sensi.

Quindi, ritornando al film, per me diventa assolutamente chiaro, palese e spaventoso quanto sia realmente possibile per il protagonista innamorarsi di Samantha, del suo SO1. SO1 è il nome dell’intelligenza artificiale che si presenta come una voce incorporea e con la quale il protagonista Theodore inizierà una relazione prima amicale, poi di amore, e con la quale inizierà a condividere tutta la sua esistenza. Quello che mi fa tornare alla realtà senza affogare del tutto nella paura è che Samantha non ha percezioni, ha solo intelligenza e concetti, riesce a immagazzinare ricordi e a cambiare, a evolversi, ma non ha un corpo, non ha sensazioni. Le uniche sensazioni che SA, e badate uso appunto il verbo sapere, sono quelle descritte dai libri che ha letto e conosce l’amore, la passione, la mancanza, solo attraverso le parole di walt whitman o william shakespeare o emily bronte. Ma Samantha non ha un corpo e infatti questo per lei è un fatto di grandissimo dolore, perchè lei non può toccare l’altro, non può sentirlo almeno come noi sappiamo di sentire. Forse questa è l’unica cosa che mi ha impedito di sentire del tutto il dolore che avrei provato per questa storia d’amore destinata a concludersi, che avrei voluto proteggere come in tutte le storie che combattono contro il destino, contro il mondo, contro le convenzioni sociali.

Ma Theodore invece è umano, lui sente come noi, lui può ricordarsi come è sentirsi così profondamente e completamente capito da qualcun altro, come è condividere la vita con un’altra persona che è ogni giorno con te a sostenerti, a parlare con te, a crescere insieme e per lui il sentimento che nasce è reale, lo sente con il suo corpo, con le sue esperienze, con la sua mente.
Per lui è reale, e non importa se ciò che lo fa nascere e ciò a cui è diretto è un cane, una pianta, una fotografia o un computer: il fatto sta che è lui a provare questo sentimento, e questo già di per sé lo rende vero. Chi non ha mai provato un amore platonico, per una musa impossibile da raggiungere, per un attore o per un amico a cui non abbiamo mai detto nulla.

Questo è stato sicuramente per me uno dei concetti più difficili da accettare e che la gestalt mi ha insegnato (e con il quale cerco di venire a patti giorno dopo giorno, a volte ancora inciampando ehehe). L’amore è creato dalla persona che lo prova, non dell’altro di cui siamo innamorati. Siamo noi oggetto e soggetto stesso di quello che proviamo, gli altri (cose, animali, persone, attività, hobby, passioni, montagne) sono solo degli imput, degli interruttori per così dire, delle fiamme incendiarie che danno il là alla prima scintilla. Tale fuoco è poi ossigenato, arso e scatenato da noi in prima persona. Amare è una cosa che faccio io soggetto, provare amore è una cosa che accade nel mio corpo e nella mia testa e poi nella mia anima e non è per forza collegato all’essere amati. Ecco questa devo dirvi sinceramente, era la cosa che non mi è mai andata giù facilmente, la cosa che complica notevolmente il mio accettare questa grande verità. Ovvero che quello che più conta è amare non essere amati. Non ci deve per forza essere reciprocità per essere perdutamente e appassionatamente innamorati di qualcosa o di qualcuno. E questo è chiaro negli amori non corrisposti ed è chiaro per le passioni e per gli hobby.

Aspettate, non dico che essere ricambiati è tremendo o non desiderabile o terribile. Anzi, invero, è esattamente questo che mi ha fatto arrabbiare appena saputa la grande verità: ma come allora se io amo quell’altra persona e lei non ricambia, non è lei la stronza? Oppure se il mio amore non è corrisposto non è perchè il mondo è ingiusto? O ancora, se io amo, non mi merito di essere amato anche io a mio volta? Queste sono domande legittime, nate dal senso comune e da un’infanzia basata sui film disney, ma non è la realtà. Beh si, tutto vero, tutto bello, a chi non piace essere amato e spero ovviamente che ognuno di noi trovi qualcuno che lo ami completamente e teneramente e appassionatamente, ma ciò che ci spinge a vivere, ciò che ci spinge ad andare avanti, a crescere e a migliorare, è la capacità di sentire amore, la capacità che è dentro di noi di provare questo sentimento e non il fatto di assorbire come una spugna o di accaparrarsi l’amore dell’altro.

La consapevolezza di questa differenza nella vita quotidiana passa quasi sempre sotto soglia, come se nessuno ce lo avesse mai detto, come se nelle favole e nei film che ci guardiamo ovunque, dai vhs degli anni ’80 al netflix dei nostri giorni, nessuno ci si sofferma mai abbastanza, ed è per questo che il film Her è buono e bello e innovativo, perchè afferma questo. Theodore innamorandosi della sua IA, amandola e aprendosi, riscoprendosi a utilizzare anche con lei schemi meschini per nascondersi come faceva nella sua precedente relazione, soffrendo per non essere l’unico e per essere lasciato, impara di nuovo a vivere ed esce dalla sua situazione di apatia e depressione in cui ero caduto dopo la separazione. Il suo volto dalla prima scena all’ultima del film è cambiato, l’esperienza di aver amato, anche solo un oggetto, un’intelligenza artificiale, lo ha aperto di nuovo ai colori, alla voglia di viaggiare, alla voglia di trascorrere del tempo con se stesso, con i suoi amici e con la sua vita. Ogni storia ha il suo senso, ogni storia d’amore ci regala qualcosa e ci arricchisce, ci rende più complessi e maturi. E niente, questo è quello che mi sono portata via alla fine della visione di questo film. Perchè sì è vero, c’è tanta tristezza, c’è l’incontro con una fase depressiva, svariate rotture e delusioni, c’è la realizzazione della nostra piccola e limitata essenza di esseri umani, con i nostri limiti, i nostri dolori, le nostre bugie, ma alla fine quello che più mi è rimasto dalla visione di questo film sono stati questi sentimenti di gioia e di speranza. Sentimenti basati sulla consapevolezza della fortuna che abbiamo di poter iniziare ad amare di nuovo, di poter riniziare ogni volta, di poter vedere di nuovo quell’alba rosa sapendo che il nostro cuore, anche se ammaccato, anche se rotto o graffiato, può riniziare a scaldarsi, e il solo fatto di riaccendersi in quella fiamma, lo porterà a stare meglio, a vivere ancora e ancora.

S: ma secondo te è possibile innamorarsi di un pc? Cioè di un’IA, che pensa, parla, ti risponde, ti dice cose carine, trascorre con te tutto il tempo, ma non la puoi toccare?
3: boh, non saprei, dovremmo vedere un attimo…dovremmo farne esperienza prima di dire si o no..
Z: ma per te sicuro sarebbe possibile, sei stata innamorata di Milord per un numero spropositato di anni..
S: maddaaiiii, uffaaaa, lì era diverso, non interagiva con me, non era reale, ero innamorata della storia, di loro due insieme, mi immedesimavo in loro, non c’entra niente adesso..
Z: vogliamo poi parlare di nick carter (shame on you), e poi keanu reeves, e yuri…
3: ehehe eddai ma quelle sono cotte infantili, qui stiamo parlando di una IA, che parla con te, che sta con te, che interagisce con te dicendo cosa pensa e cosa pensa di quel che dovrebbe sentire e che si modifica a seconda di cosa le dici, si arrabbia, gioisce, piange…
S: però non puoi toccarla… non potrai mai abbracciarla, non potrai baciarla, sarà solo una relazione senza corpo
Z: pensa alle storie che nascono online, nelle chat, oppure le storie a distanza, dove le persone sono separate da km e non si vedono per da mesi, stanno legati soltanto con le parole e uno schermo, non solo quelle storie d’amore ugualmente?
3: non lo so davvero ragazze, è un tema molto controverso, so solo che immaginare e rappresentare il tutto nella nostra testa, amare e sognare l’amore, fa stramale e fa strabene anche se poi non avviene, quindi boh
Z: direi che siamo senza risposta allora
3: beh, è non sarebbe la prima volta..
S: e non sarà neanche l’ultima..vi va di ascoltare una canzone?

Musica consigliata –> “The Moon song” di Karen O