Dal libro “La ragazza delle arance” di Jostein Gaarder

“Immagina di trovarti sulla soglia di questa favola, in un momento non precisato di miliardi di anni fa, quando tutto fu creato – scrisse mio padre -. Avevi la possibilità di scegliere se un giorno avresti voluto nascere e vivere su questo pianeta. Non avresti saputo quanto saresti vissuto, e non avresti neppure saputo per quanto tempo saresti potuto rimanere qui, ma si trattava comunque soltanto di qualche anno. Avresti solo saputo che, se avessi scelto di venire al mondo un giorno, quando i tempi fossero stati maturi, come si dice, o “a tempo debito”, allora un giorno avresti anche dovuto staccarti da esso e lasciare tutto dietro di te.
Nel corso delle ultime settimane mi ero più volte posto io stesso la medesima domanda. Avrei scelto di vivere una vita sulla terra ben sapendo che all’improvviso mi sarebbe stata strappata via, forse proprio nel mezzo dell’ebbrezza della felicità? Oppure già in punto di partenza avrei rifiutato tutto questo gioco d’azzardo del “dai-e-togli”? Perchè veniamo al mondo una volta sola. Veniamo fatti entrare nella grande favola. E oplà! In men che non si dica la favola è finita. No, non ero sicuro di cosa avrei scelto. Credo che mi sarei rifiutato di partecipare a queste condizioni. Forse avrei declinato cortesemente l’intera offerta di visitare la grande favola se era solo per un breve periodo, e forse avrei risposto in modo non tanto cortese. Forse avrei gridato che il dilemma era così dannatamente insidioso da non volerne sentire più parlare. Ne ero convinto, proprio in quel momento in cui mi trovavo seduto sul terrazzo con te sulle mie gambe ero completamente sicuro che avrei rifiutato l’offerta. Se avessi scelto di non dare mai neppure un’occhiata alla grande favola, non avrei neanche saputo cosa mi sarei perso. Capisci cosa voglio dire? Certe volte è così con noi uomini, è peggio perdere qualcosa di caro che non averlo mai avuto. Ma ora tocca a te rispondere, George, a te la palla adesso. […] Ora lo capisco. D’un colpo capisco quale portata abbia tutto ciò. Solo ora capisco con anima e corpo cosa significhi non esistere. Sento un crampo fastidioso nello stomaco. Mi sento la nausea. Ma mi arrabbio anche. Divento furioso al pensiero che un giorno scomparirò, e poi non ci sarò più non per una settimana o due, non per quattro o quattrocento anni, ma per l’eternità. Mi sento vittima di un raggiro, di uno scherzo, perché prima arriva qualcuno che mi dice: prego, ecco tutto un mondo per te dove puoi sguazzare come vuoi. Qui c’è il tuo sonaglietto, qui il trenino, qui la scuola che comincerai ad autunno. E, un attimo dopo, si sentono risate fragorose: ahahaha, ti abbiamo imbrogliato per bene! E il mondo mi viene strappato dalle mani. Mi sento tradito da tutto. Non c’è niente a cui aggrapparsi. Non c’è niente che mi può salvare. Non perdo solo il mondo, e non perdo solo tutte le cose e tutte le persone alle quali voglio bene. Perdo me stesso. Oplà..non ci sono più! Sono arrabbiato. Sono tanto arrabbiato che potrei vomitare da un momento all’altro. Perché ho visto il diavolo dritto in volto. Ma non lascio che il diavolo abbia l’ultima parola. […] Poi riprovo a tornare indietro nel tempo di qualche miliardo di anni. È qui che devo decidere se scegliere di vivere una vita sulla terra tra qualche centinaio di milioni di anni, oppure se scegliere di lasciar stare perché non accetto le regole. […] Adesso arriva la risposta. Ora compio la mia scelta solenne.”

E tu cosa faresti davanti a questa scelta? Se prima di nascere potessi sapere quanto tempo ti rimane da vivere, vorresti nascere ugualmente? E se scoprissi di non morire a 100 anni, vecchio, addormentato nel tuo letto caldo, vicino all’amore della tua vita, dopo aver vissuto una lunga e soddisfacente vita, piena di affetti, figli e nipoti, cosa sceglieresti? Se ti dicessero che avrai una vita meravigliosa, intensa, ricca di amore e di rapporti significativi, ma che verrai strappato da questa vita precocemente per un ‘incidente sfortunato o per una grave malattia, vorresti nascere ugualmente o preferiresti non assaggiarla neanche questa maledetta vita? Questa è una domanda complicatissima e molto forte che mi si è palesata davanti agli occhi come i fari di un’auto che frena sulle strisce. Ero in metro, stavo leggendo questo libro, e mi sono sentita turbata e interessata da questa domanda, cercando di capire che cosa avrei fatto io davanti a questa scelta. Il tempo si è fermato per un attimo, ho sentito tutto il dolore e la frustrazione del personaggio e mi si è stretto lo stomaco.
In questo libro un padre sta scrivendo una lettera al figlio, e gli sta ponendo questa importantissima domanda. Glielo fa scrivendo, perché al momento della stesura della lettera il figlio ha solo pochi anni e il padre ha da poco scoperto di avere un tumore che presto lo ucciderà. Straziato dal dolore per doversi separare dalla donna della sua vita e dal figlio appena nato, cerca di lasciare pezzi di sè scritti così che il figlio li possa incontrare da grande, per far sì che si ricordi di lui e sapere il bene che gli ha voluto.

Questo libro è un inno all’umanità, all’essere umano vero, che prova tutta una gamma di emozioni impetuose e contrastanti anche contemporaneamente, anche una di seguito all’altra. Il padre mette per scritto l’incontro, la nascita e la storia d’amore che porta alla creazione di questo bambino, affinchè il figlio, nel suo futuro, possa conoscere dal punto di vista del padre quanto amore abbia portato alla sua vita. Il padre, mentre fa questo, tocca abissi di dolore, e si sente ardere di rabbia e invidia per essere strappato ai suoi affetti e alla sua vita così presto, così precocemente.

Chi non proverebbe infatti un immenso dolore dallo scoprire di avere una malattia che ti strappa alla vita, precludendoti molto altro? Chi non si farebbe divorare dall’invidia per coloro che restano a vedere crescere quel suo bambino, che gli potranno insegnare a vivere, a camminare, a sperare? Chi non si farebbe sopraffare da un’ira funesta per l’impotenza di non poter controllare gli eventi e per l’ingiustizia di un tale destino?

Questa ira per l’impotenza di non poter controllare gli avvenimenti e il tempo, questa invidia per le persone che vedranno crescere il figlio, questo dolore per la propria esistenza tagliata, sono emozioni con cui nessuno vorrebbe fare i conti, il solo pensarci e iniziare a sentirle insieme all’autore e ai protagonisti del libro, ci crea turbamento, confusione e dolore. Ma credo che ogni tanto dovremmo soffermarsi su certi temi, su certi dolori, soprattutto per noi stessi, per capire il valore della vita stessa. E non solo: è bene soffermarsi ogni tanto anche sul valore di alcune comunicazioni, sul valore di esprimere quello che sentiamo e di condividerlo con le persone che amiamo, finché siamo in tempo.
Leggendo appunto le parole del libro, il mio primo impeto è stato quello di empatizzare con il padre e di dispiacermi per lui e per il suo immenso dolore, ed ho cercato di capire quanto fosse importante per lui quella domanda. Mi sono arrabbiata con la malattia, ho sentito rabbia per il destino crudele, ho sentito la rabbia e il dispiacere del figlio che leggeva quelle parole e che si immaginava la rabbia e il dolore del padre. La morte è realmente un argomento complesso, del tutto fuori dal nostro controllo, sappiamo che succederà a tutti ma non ci è dato sapere né come né quando. La paura di guardarla negli occhi è insita in ognuno di noi, molto persone la evitano non solo di pensare, ma anche di nominare per tutta la vita; altri le passano vicino, e ne sentono sempre il terrore, ogni volta; altri invece, quando riescono a parlarne, non più come un oggetto terribile e terrorifico, ma come parte integrante dell’esistenza, riescono ad intravederla sotto una rinnovata luce e a farci momentaneamente pace, riuscendo a dialogarci… e questo è già un grande passo.

Me la sono poi rivolta verso me stessa questa stessa domanda, come il padre l’ha rivolta al figlio, e ad oggi risponderei che vale sempre la pena vivere, che se anche sapessi di avere una data di scadenza molto ravvicinata alla mia nascita, proverei comunque a vivere e a giocare le mie carte. Chiaro, è solo una supposizione, probabilmente se sapessi la mia data di scadenza mi arrabbierei furiosamente, urlerei disperata contro il mare e il cielo, piangerei tutte le mie lacrime, ma poi la domanda riemergerebbe, sarebbe stato meglio non vivere? Oppure ne è valsa la pena ugualmente? E voi, voi che state leggendo, cosa rispondereste?

Z: ma noooo, che ingiustizia, che orrore, come è possibile vivere sapendo che sul più bello me ne dovrei andare? È una cosa sadica, è una presa in giro, no, non lo permetterò!
3: calmati, non ti scaldare, è una supposizione, a nessuno è dato sapere, stiamo un attimo qui a pensarci….anche se più ci penso e più mi sento scendere in un buco nero, nerissimo, profondo, freddo…ho paura, stammi più vicino..
S: ma daaaaaiiiiii, ma figuratiiii, andrà tutto bene, la morte non ci può toccare, vivremo una vita lunghissima, bellissima, ricchissima e tutto quello che di più issimo non si può!
Z: Uff.. tu con questa esagerazione di miele e bolle colorate, mi dai la nausea. No! Basta! Se deve essere così, non gliela do vinta. Non mi voglio neanche affacciare a vedere! A che serve assaggiare la torta se poi non la posso mangiare?
S: beh no, è proprio questo il punto..se non nasciamo, neanche la possiamo assaggiare la torta, se non nasciamo non proveremo niente niente, nè il dolore, nè l’amaro, nè il disgustoso, ma così non sentiremo neanche il dolce, il buono, il caldo…
3: che tristezza, mi viene da piangere
Z: che strano!! non è una novità…
3: dai su, lasciami stare, anche tu sei triste, solo che urli di più e batti di più i piedi..
Z: allora non voglio saperlo, non vorrei sapere mai la mia data di scadenza!
3: è si, la maggior parte delle volte è così, ma non sempre, e non per tutti…
S: e quindi? Continuo con bolle di sapone e pop corn?
Continuiamo a scegliere di nascere, vero?
3: io vorrei solo un abbraccio, così ci diamo forza e sostegno e scegliamo di intraprendere questa esistenza insicura ma bella. Vi avvicinate per favore?
Z: vabbè ma finiamo sempre così!!!
S: ebbene si! E quando non finiremo così… sarà un vero problema…
e poi…se non fossimo nate…non avremmo mai potuto ascoltare questa canzone…

Musica consigliata –> “The great gig in the sky” Pink Floyd

“And I am not frightened of dying
Any time will do, I don’t mind
Why should I be frightened of dying?
There’s no reason for it, you’ve gotta go sometime
If you can hear this whispering you are dying”